Niente risarcimento al (preteso) danneggiato che, in realtà, abbia causato il danno con la sua inerzia (art. 1227, secondo comma c.c.)

Niente risarcimento al (preteso) danneggiato che, in realtà, abbia causato il danno con la sua inerzia (art. 1227, secondo comma c.c.)
11 Maggio 2021: Niente risarcimento al (preteso) danneggiato che, in realtà, abbia causato il danno con la sua inerzia (art. 1227, secondo comma c.c.) 11 Maggio 2021

Le cause del nostro studio

Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. 1544/2020 del 31.10.2020, occupandosi di un caso molto particolare di danno causato dall’inerzia di un danneggiato, ha applicato il principio di cui al secondo comma dell’art. 1227 c.c., rigettando la domanda di un agricoltore che lamentava di aver perduto di un “aiuto” comunitario perché la sua domanda era stata ritenuta “irricevibile” dall’Agenzia preposta ai pagamenti (AVEPA).

L’agricoltore imputava il danno patrimoniale conseguito a tale declaratoria al Centro di assistenza, al quale aveva conferito un apposito mandato per la presentazione della domanda, perché quest’ultimo l’aveva inoltrata telematicamente, così come previsto dalla vigente normativa, ma, a seguito dei controlli effettuati dall’Agenzia, non era stato in grado di esibirne l’originale analogico (su supporto cartaceo) sottoscritto dal mandante.

Una volta chiamato in causa, l’assicuratore del Centro convenuto aveva eccepito all’attore che, in realtà, la conservazione di un’originale della domanda munito della firma del richiedente presso il Centro mandatario di quest’ultimo non era prevista da alcuna norma, per cui il provvedimento amministrativo che ne aveva sancito l’irricevibilità era illegittimo ed avrebbe, quindi, dovuto essere impugnato dall’agricoltore avanti al Giudice amministrativo, stanti pure le numerose sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato che avevano stabilità l’illegittimità di analoghi provvedimenti.

Ciò, invece, non era avvenuto, ragion per cui il danno lamentato dall’attore era stato, in realtà, cagionato dalla sua colpevole inerzia, e non già dal comportamento del Centro suo mandatario, dovendosi così rigettare la sua domanda di risarcimento, in virtù del principio giuridico dettato dal secondo comma dell’art. 1227 c.c..

Il Tribunale, accogliendo questa eccezione, ha respinto la domanda attorea.

Il Giudice trevigiano ha, infatti, osservato che, “a fronte del rigetto della domanda di contributo motivata con il difetto di firma in calce alla medesimal’agricoltore “avrebbe dovuto rendersi parte diligente e ricorrere al TAR per fare accertare l’illegittimità del rifiuto”.

Esso ha anzitutto convenuto sul fatto che “il requisito della sottoscrizione della copia cartacea della domanda è previsto esclusivamente dal manuale dell’AVEPA paragrafo 14.2 rubricato “Ricevibilità delle domande”; mentre non è pertinente il richiamo contenuto nel decreto di rigetto della domanda al comma 3 dell’art. 38 D.P.R. 45/2005…, in quanto avente ad oggetto fattispecie diversa da quella dedotta in giudizio: nel caso in esame, infatti, la domanda nasce come domanda telematica e non come domanda cartacea da trasmettersi in via telematica”.

A ciò conseguiva che “la conclusione alla quale è giunta AVEPA con il decreto di irricevibilità è stata ritenuta errata dal Consiglio di Stato, il quale con sentenza n. 5018/2018, in un caso analogo al presente, ha confermato la sentenza del TAR Molise che aveva accolto la domanda di annullamento di un provvedimento di accertamento della indebita percezione di aiuti comunitari… ritenendo non essenziale, quindi, la sottoscrizione della domanda cartacea, essendo la domanda inoltrata in via informatica “direttamente riferibile alla ditta ricorrente, che aveva conferito apposito mandato alla predetta società (circostanza non contestata da controparte) affinché potesse agire in nome e per conto proprio, anche per le domande di ammissione ai benefici comunitari, nazionali e regionali””.

A nulla rilevava che “la necessità della sottoscrizione autografa della copia cartacea della domanda - pur in presenza di una procedura interamente informatizzata - era prevista solo da una circolare interna dell'AGEA (n. 8 del 10.5.2007) ma non dal pertinente regolamento comunitario né da una fonte primaria o secondaria, per cui la sanzione della decadenza doveva ritenersi priva di una idonea base legale in violazione del principio di legalità”.

Conseguentemente, il Tribunale ha ritenuto che il Centro avesse “curato la corretta trasmissione della domanda ad AVEPA”, così adempiendo al mandato ricevuto dall’attore, mentre era “onere (oltre che interesse, ovviamente) “di parte attrice impugnare il decreto di rigetto facendone valere l’illegittimità avanti al giudice amministrativo.

Con encomiabile puntualità il Tribunale trevigiano aggiunge che la doverosità di contestare la illegittimità dei provvedimenti amministrativi al fine di rimuoverne gli effetti pregiudizievoli è sancita anche dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo in base al quale “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti(v. Consiglio di Stato ad. plen., 23/03/2011, (ud. 21/02/2011, dep. 23/03/2011)”.

Da queste premesse si poteva, quindi, trarre la conclusione per cui “era ragionevolmente prevedibile l’annullamento del provvedimento di rigetto (rectius di irricevibilità) della domanda alla luce della giurisprudenza già citata, che esclude la necessità della firma sulla copia cartacea della domanda unica, giurisprudenza formatasi prima della comunicazione del provvedimento di rigetto, con conseguente onere della parte danneggiata dal provvedimento amministrativo illegittimo di esperire i previsti rimedi giurisdizionali al fine di rimuovere il provvedimento ed evitarne gli effetti dannosi”.

Tanto più che “il comportamento omesso dalla attrice rappresenta una condotta esigibile in quanto non eccessivamente gravosa.

Al riguardo il Giudice trevigiano ricorda la giurisprudenza di legittimità secondo la quale “risponde del resto ad un elementare esigenza di correttezza nelle relazioni sociali, espressamente riconosciuta dal nostro legislatore, che il creditore (nella specie, il danneggiato)… non possa "considerarsi...... come in stato di guerra con il debitore, disinteressandosi delle conseguenze pregiudizievoli che la sua indifferenza produce nella sfera d'interessi della controparte" e debba invece cercare di circoscrivere i danni dipendenti dall'altrui inadempimento (art. 1227, secondo comma, c.c.)” (Cass. civ. n. 2396/1997).

A tutto ciò conseguiva che doveva reputarsi “fondata l’eccezione tempestivamente svolta dalla terza chiamata… di infondatezza della domanda per non avere la creditrice evitato il danno usando l’ordinaria diligenza, ovvero impugnando il diniego illegittimo avanti al giudice amministrativo (art. 1227, comma II, c.c.)” e conseguentemente respingersi la domanda dell’attore.

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